Un’installazione
segreta dello S.H.I.E.L.D. da qualche parte negli Stati Uniti.
La donna dai capelli e col costume bianco su cui
spiccava una profonda scollatura che arrivava sin quasi all’ombelico attraversò
la parete come se non esistesse ed entrò in quello che aveva tutta l’aria di
essere una sorta di anticamera. Si
guardò intorno.
“Un lavoretto facile finora” pensò “Avrei anche
potuto fare a meno degli altri.”
Disattivare i sistemi di sicurezza era stato
decisamente facile con le istruzioni ricevute. Moonstone non perse tempo a
chiedersi come avesse fatto la sua committente ad avere gli schemi relativi:
era evidente che avesse qualcuno all’interno dello S.H.I.E.L.D. che le passava
informazioni e tutto sommato non le importava.
<Ehi… che succede?>
A parlare è stato un agente dello
S.H.I.E.L.D. con in pugno una pistola.
“Stava andando tutto troppo bene.” pensò
Moonstone e sospirando sparò una scarica dalla mano che abbatté l’uomo.
Dopo pochi minuti le porte dell’installazione
si aprirono ed entrarono delle figure in costume. Erano noti mercenari in
costume: Snapdragon, Mamba Nero, Tagliagole, Warhawk e una ragazza snella che
indossava una calzamaglia aderente color verde scuro che le lasciava scoperta
la pancia. Una maschera le copriva la
parte inferiore del volto. Gli occhi erano verdi e così i capelli nella stessa
sfumatura del costume. Moonstone non sapeva molto di lei, era stata imposta da
Monica Rappaccini, Scienziato Supremo dell’A.I.D.[1] e lei non aveva avuto altra scelta che
accettare. C’era solo da sperare che se la sapesse cavare in caso di guai.
<E adesso che facciamo?> chiese
Tagliagole.
<Dobbiamo impadronirci dei campioni
genetici conservati nei laboratori.> rispose Moonstone <Prendeteli tutti
e metteteli nei contenitori criogenici che vi sono stati forniti.>
<E se ci imbattiamo in qualche altro
guardiano?> chiese Black Mamba.
<Sbarazzatevene rapidamente, possibilmente
senza ucciderli a meno che non sia assolutamente necessario.>
<Sei diventata tenera?> la sfotté
Warhawk <Colpa del tuo periodo nei Thunderbolts forse? Non è che rimpiangi
di non essere ancora una supereroina?>
<Se hai finito di dire sciocchezze,
comincia a darti da fare. Dobbiamo finire in fretta.>
<Se è solo per questo…> disse
improvvisamente una voce maschile <…avete già finito prima ancora di
cominciare.>
Le luci si accesero di colpo e gli incursori
si trovarono davanti ben cinque avversari disposti a semicerchio: tre uomini e
due donne in costume
I Vendicatori Segreti erano pronti
all’azione.
MOONLIGHT
SHADOW
Carlo
Monni, & Carmelo Mobilia
Red Hook Brooklyn, New York. 48 ore prima.
James Buchanan Barnes si sentiva strano. Era
la prima volta che faceva colazione in una vera casa da… beh da più tempo di
quanto riuscisse a ricordare… era ancora vivo suo padre. James, era quello che
veniva chiamato familiarmente Army brat,
un figlio dell’Esercito visto che suo padre ne era un ufficiale e lui e sua
sorella erano cresciuti viaggiando di caserma in caserma fino a Camp Lehigh in
Virginia ed era lì che avevano preso a chiamarlo Bucky. Forse avrebbe finito
anche lui per seguire le orme di suo padre se il destino non avesse deciso
altrimenti facendone prima la spalla adolescente di Capitan America e poi uno
spietato assassino al servizio dell’Unione Sovietica sottoposto a periodici
lavaggi del cervello.
Era anche la prima volta che gli capitava di
svegliarsi assieme a una bella donna ed era curioso che quella donna fosse
proprio Russa.
Da parte sua la ragazza in questione era
sconcertata anche più di lui. Il suo
nome ere Yelena Kostantinova Belova, tenente delle Forze di terra Russe, agente
del G.R.U.[2]
e prima del corso speciale segretissimo di addestramento di superspie chiamato
Stanza Rossa. Alla diplomata col massimo dei voti spettavano il nome e il
titolo di Vedova Nera che solo un’altra agente vivente aveva raggiunto: Natalia
Alianovna Romanova, che ora era un agente libero ma usava ancora il vecchio
nome in codice.
Yelena non si aspettava davvero quel che era
successo la notte prima tra lei e Bucky. Non ricordava… o forse preferiva
dimenticare… di essere mai stata veramente innamorata e il sesso era perlopiù
un mezzo per raggiungere lo scopo di una missione o una necessità biologica da
soddisfare ogni tanto ma con l’uomo che aveva davanti le cose erano diverse lo
sentiva… e ne era anche un po’ spaventata.
<Un decino per i tuoi pensieri.> le
disse improvvisamente Bucky sorridendo.
<Cosa?> fece lei riscuotendosi dai suoi
sogni ad occhi aperti.
<Si diceva così ai miei tempi, ma immagino
che oggi dieci cents sarebbero troppo pochi. Forse dieci dollari?>
<I miei pensieri non valgono così tanto,
credimi.>
<Se vuoi sapere i miei, pensavo a come
sono fortunato ad essere qui con te adesso e mi chiedevo cosa ho fatto per
meritarmelo.>
Incredibile a dirsi ma Yelena arrossì. Lui la
faceva sentire come un scolaretta e una parte di lei si dette della stupida. “I
sentimenti ti rendono vulnerabile” era una delle lezioni di uno dei suoi
istruttori della Stanza Rossa e forse aveva ragione.
Lui le sfiorò la mano e lei si sentì come
percorrere da una corrente elettrica. Che stupida
<Che programmi hai per oggi?> le chiese
Bucky.
<Credo… credo che andrò a Washington per…
per cercare di risolvere quel problema di cui abbiamo parlato.>
<Mi sembra un’ottima idea. Hai già deciso
quando partire?>
<Ho prenotato sul treno delle due.>
<Un sacco di tempo. Idee di come
passarlo?>
<Qualcuna > rispose lei.
Lee
Academy. Connecticut.
Una giornata molto particolare per il professor Steve Rogers. Un nuovo alunno era arrivato in classe, e il destino aveva giocato un bizzarro scherzo all’ex Capitan America.
Si perché quel ragazzo, di poche parole e con un’aria molto triste era qualcuno che lui aveva conosciuto anni prima, solo che se lo ricordava molto diverso.
In primo luogo per via dell’età... all’epoca aveva 12 anni, mentre oggi era un adolescente di 17 e il cambiamento fisico durante la pubertà era stato notevole: era più alto, aveva tolto gli occhiali e fatto crescere i capelli. Ma soprattutto era l’atteggiamento che era cambiato: allora Hiram Riddley era un ragazzo vivace e sorridente, di un intelligenza notevole e un entusiasmo contagioso. Un ragazzino vitale, nonostante fosse un “nerd” e suo padre lo avesse abbandonato da piccolo. Idolatrava Capitan America, che forse incarnava per lui quella figura paterna che non aveva avuto. Sua madre l’aveva cresciuto da sola, insegnandogli buone maniere, valori ed educazione. Ma purtroppo la donna era morta, uccisa da un rapinatore, ed evidentemente da allora il ragazzo doveva aver avuto un tracollo emotivo che lo aveva portato ad essere introverso e schivo. Steve rivedeva in parte se stesso in quel ragazzo: anche lui era cresciuto senza padre, allevato da una madre che aveva fatto mille sacrifici per tirarlo su.
<Professore?> lo chiamò un’alunna, ridestandolo dai suoi pensieri.
<Uh si scusate ragazzi... m’ero distratto un momento. Studiate i primi due capitoli, poi giovedì faremo un piccolo compito in classe.>
A quella parola vi fu un boato di malcontento da parte dei ragazzi, poi al suono della campanella uscirono dalla classe, chiacchierando e scherzando tra loro. Tranne Hiram, che rimase per conto suo.
<Scusami, Riddley?>
<Sì?>
<Puoi fermarti un minuto, per favore?>
<Avrei lezione tra poco...>
<Non ti ruberò molto tempo, sta tranquillo.>
<Ascolti professore, se si tratta dell’altra sera…[3] io... mi scuso per averle risposto male... non sapevo che...>
<Lascia stare, non ce l’ho con te per quello. Ma sono preoccupato per te.>
<Non è affatto necessario, mi creda.>
<Io invece credo che lo sia. Io ho... letto la tua scheda. Vieni dal Maryland. E so che tua madre è.... venuta a mancare. Sai, anche la mia è morta che ero molto giovane... non molto più grande di te. So cosa si prova. So cosa stai attraversando. Proprio di questo volevo parlarti; non devi affrontarlo da solo. Io posso aiutarti, se vuoi. Sai, il compito di noi insegnanti non è solo spiegarvi la storia o la matematica… Noi…>
<Professore, lei non può capire come mi sento. Mi hanno mandato anche da degli psicologi del cavolo, ma quello che ho io non lo può comprendere nessuno!> disse Hiram iniziando ad alterarsi.
<Perché non provi a spiegarmelo, allora? Sarebbe un buon inizio...>
<Ma che diavolo... ma perché? Perché tutti volete farvi gli affari miei, eh? Perché volete “aiutarmi”? Cos’è vi faccio pena? Giro con un cartello dietro la schiena con scritto “aiutatemi”? Non potete aiutarmi... nessuno può!>
<Ma perché ne sei tanto convinto?>
<Perché è evidente che sono nato per essere solo! Mia madre è morta, le hanno sparato mentre andava in chiesa... lo sa anche lei. Ma lo sapeva che mio padre ci ha mollati che avevo 5 anni? Sissignore, ci ha piantato in asso e da allora non l’ho mai più rivisto... avevo trovato conforto nella figura di Capitan America, quando avevo dodici anni. Era il padre che avrei voluto avere, eroico, generoso, altruista... lo sa che era venuto a casa mia a cena, una volta? Sissignore, non ci crede nessuno ma è così!>
<Io... ti credo, Hiram...> disse Steve. Era vero... ricordava benissimo quella serata; lui e sua madre gli avevano regalato una serata di assoluta normalità, che aveva scaldato il cuore del “leggendario super soldato”.
<Ero diventato un suo aiutante... all’epoca Cap gestiva una “linea verde” con cui venire contattato in caso di pericolo, ed io l’avevo aiutato a gestirla. Mi faceva sentire vivo! Poi col tempo ci siamo persi... dopo la morte di mia madre venni qui in Connecticut dai suoi cugini e smisi di seguire la linea verde... ma ero convinto che prima o poi ci saremmo rivisti. E invece è morto anche lui... morto in missione per salvare questo fottuto paese! Mi sentii come se avessi perso di nuovo mia madre, non può capire. Nessuno capiva... tranne il professor Keating. Era un insegnante dell’altra scuola dove andavo prima. Era unico, il miglior adulto che avessi mai conosciuto. Lui mi ascoltava, mi capiva... riusciva a leggermi dentro. E qualche volta mi faceva sorridere. Era un uomo intelligente e spiritoso.>
<Che gli è successo?> domandò Steve.
<... è morto anche lui. Pare avesse il diabete. Andavo a trovarlo in ospedale, dopo la scuola, e anche mentre era in terapia continuava a sorridere. E poi anche lui...> s’interruppe singhiozzando.
<Capisce adesso? Non appena trovo qualcuno a cui aprire il mio cuore, a cui mi affeziono, questo muore. Tutte le persone a cui voglio bene sono morte. Mio madre, Cap, il professor Keating... e io sono rimasto solo. Con nessun altro sono riuscito ad avere lo stesso rapporto. E mi mancano. Mi sento dannatamente solo.> il volto del ragazzo cominciò a bagnarsi di lacrime.
Steve soffriva per quel ragazzo, in qualche modo di sentiva responsabile.
<Hiram ascoltami... è normale quello che stai passando. Ti senti vulnerabile. Hai difficoltà nell’aprirti con le persone, e quei pochi con cui riuscivi a farlo ti sono venute a mancare. Ti senti abbandonato. Te l’ho detto, ci sono passato anch’io quando è morta mia madre. E non solo... ho perso parecchie persone care nella mia vita. C’è stato un periodo della mia vita in cui mi sono sentito... perso, spaesato. Perduto in mezzo a persone che non mi appartenevano, che non mi capivano. Come se venissi... da un'altra epoca, per così dire. È stata dura, ma l’ho superata. Ma non da solo; ho avuto la fortuna di avere avuto l’aiuto di alcuni straordinari amici che oggi sento di poter definire la mia famiglia. Non c’è nulla di male nel chiedere aiuto a qualcuno Hiram. So che non è facile. Non lo è affatto. Ci vuole grande coraggio. Ma tu ce la puoi fare Hiram. Devi solo trovare quella forza dentro di te. Tutto quello che t’ha insegnato tua madre... o il professore di cui mi parlavi, fanno ancora parte di te. Sono dentro al tuo cuore, e rimarranno lì per sempre. Devi trovare in quei ricordi la forza per andare avanti e affrontare la vita. Devi scavare dentro di te.>
<Anche... il professor Keating diceva così.>
<E aveva ragione. Fa una cosa stasera: quando torni a casa, prendi un quaderno e prova a buttar giù due righe su un ricordo che hai di tua madre. Mettilo nero su bianco. E poi rileggilo. Più e più volte. Credimi, ti farà sentire molto meglio.>
<Io… ci penserò su.> disse asciugandosi le lacrime.
<Fallo.> ripeté Steve.
<Grazie professore. Ora devo andare…> poi una volta preso l’uscio, si voltò e disse:
<Lo sa? Lei ha un’aria incredibilmente familiare. Non glielo so dire, ma è come se ci fossimo già conosciuti.>
Steve non disse niente, ma rispose con un caloroso sorriso.
Un
luogo segreto da qualche parte negli Stati Uniti.
Monica Rappaccini scrutò la donna davanti a
lei che si stava gustando un bicchiere di cognac.
<Delizioso.> disse la donna <Una
delle poche cose che sono riuscite bene ai Francesi.>
Era giovane, forse non aveva nemmeno
trent’anni e comunque ne dimostrava molti di meno, aveva i capelli neri come
Monica e vestiva con eleganza ricercata, come se per lei fosse importante
dimostrare anche nell’aspetto di essere ricca e potente… nonché anche altezzosa
e arrogante. La dottoressa Rappaccini riconosceva l’arroganza… dopotutto era un
difetto che possedeva anche lei.
<Mi auguro che la sua squadra riesca nell’intento.
Il campione genetico che ci ha procurato la sua agente l’altra volta[4]
non si è dimostrato sufficiente.>
“Questo è quello che credi tu…” pensò Monica
“… ma non hai bisogno di conoscere i miei piani.”
<Se le mie informazioni sono corrette, in
quel laboratorio ci sono tutti i campioni genetici che mi servono.> disse
invece <La squadra di mercenari che ho assemblato per questo lavoro è
adattissima allo scopo e agisce sotto la mia diretta supervisione, miss
Chadwick.>
La donna di nome Cheer Chadwick posò il
bicchiere su un tavolino e disse.
<Lei è davvero certa che il suo team di
scienziati sarà capace di fare quello che le abbiamo chiesto?>
“Puttana arrogante…” pensò la Rappaccini “…
chi ti credi di essere per mettere i dubbio il mio genio?” ma invece di dirle
così le rispose:
<Noi siamo l’A.I.D. I mezzi non comuni di
distruzione sono la nostra specialità. Se può essere fatto, noi lo faremo e se
non può essere fatto… noi lo faremo lo stesso. Il suo Consorzio sarà
soddisfatto del risultato.
<Me lo auguro.>
Richmond,
Virginia.
Shannon e Cody dondolavano sull’altalena,
facendo “ciao” con la manina. Dave e Sharon ricambiavano il saluto. Sul volto della
donna v’era stampato un ampio sorriso. Vedere la sua bimba felice nel giocare
col figlio del suo più caro amico la faceva stare bene. Le capitava di rado di
sentirsi in quel modo.
<Ehi cos’è quello?> chiese David.
<Cosa?>
<Quello che hai sulla faccia... non sarà
mica un sorriso? Non può essere.... Sharon Carter è incapace di farlo!>
<Scemo.> le rispose lei, con un
buffetto sulla spalla.
<Davvero, è bello vederti serena. E tua
figlia, lasciamelo ripetere, è splendida.>
<Grazie. Ma è merito tuo... e di Cody, se
stiamo così. Julie non ti ha fatto storie, oggi? Non voglio recarti problemi
con lei...>
<Sta tranquilla. Le ho detto –
tralasciando i dettagli della tua vita – che eri la donna di Capitan America, e
che eri qui per parlare di lui, e alla fine ha capito... o se l’è fatto andare
bene comunque. Julie aveva un profondo rispetto per Cap.>
<E chi non lo aveva?>
<Già. Per quanto straordinario, Steve era
solo un essere umano, mortale come chiunque. Tendevamo a dimenticarcelo,
vedendogli compiere le sue incredibili imprese. Purtroppo il destino ce lo ha
ricordato nei peggiori dei modi. Non riuscivo a crederci, quando ho saputo
della sua morte. Non sono potuto venire al funerale... non me lo sono mai
perdonato.>
<Dave lui…> ma non finì la frase.
Avrebbe dovuto dire al suo amico che Steve in realtà era ancora vivo? Come
l’avrebbe presa? No, era una cosa che spettava decidere a Steve. Così decise di
tenere la bocca chiusa, al riguardo.
<Stavi dicendo?>
<Nulla, solo che lui... aveva profonda
stima di te. Non immagini quanto. Diceva sempre che tu eri il vero eroe,
rinunciando ad ogni forma di violenza. Ti voleva bene. Per cui, non
rammaricarti troppo per non esserci stato. Lui non avrebbe voluto.>
<Non sai che piacere mi danno le tue
parole Sharon. Grazie. Ma basta pensare al passato, e pensiamo al futuro...
cos’hai pensato per il tuo?>
<Ancora non c’ho pensato. Stavo pensando
di aprire un agenzia tutta mia... basta con lo spionaggio. Ma era solo una vaga
idea, per il momento. Oggi però non ci voglio pensare. Oggi voglio dedicarmi
solo a mia figlia.>
E per questo motivo aveva staccato il
telefono. Non voleva essere raggiunta da
nessuno. La cosa però non era gradita da Jack Monroe. Da un po’di tempo cercava
di contattarla, e la voce della segreteria lo aveva esasperato.
<Cristo!> sbottò innervosito
dall’ennesima chiamata senza risposta <Scommetto che è ancora da quel
vigliacco di Cox!>
Jack si sentiva davvero frustrato. Sperava
davvero tanto di poter avere una possibilità con Sharon adesso che lei e Steve
erano ai ferri corti ma le preferiva quel pacifista senza spina dorsale. Sentì
una rabbia sorda montare in lui e sferrò un pugno contro un vicino muro.
“Calma.” si disse “Non permettere alla rabbia
di prendere il sopravvento, non buttare all’aria tutto il lavoro fatto per
ridarti una stabilità mentale.[5]
Ricorda le tecniche di rilassamento, a pensa qualcosa di bello, di positivo.”
Non fu difficile in fondo: gli bastò
richiamare alla mente le immagini di Julia Proctor, la bambina che lui aveva
chiamato Bucky e di cui si era preso cura per molto tempo prima che venisse
adottata da uno dei nipoti di Rebecca, la sorella di Bucky Barnes.
Lentamente la rabbia sbollì e lui riprese il
controllo di se stesso… e fu in quel momento che sentì il ronzio della sua
communicard. Sul display apparve il volto di Amadeus Cho.
<<Beh… ce c’è?> gli chiese Jack.
<<Ehi
che modi.>> si lamentò il giovane Coreano <<Ho
ricevuto una comunicazione da Nick Fury in persona: ha indetto una riunione per
domattina e ci vuole tutti presenti. Ho pensato di avvertirti subito.>>
<Ottima notizia, Cho… sono già sulla via
di casa.>
Se Fury voleva vederli di persona, voleva
dire che c’era qualcosa di grosso in ballo… e questo voleva dire che c’era
qualche cattivo da prendere a calci nel sedere. Proprio quello che gli ci
voleva in questo momento.
Washington
D.C. Ambasciata della Federazione Russa.
Il colonnello Anatoly Vladimirovich Serov, ufficialmente vice addetto
militare preso l’Ambasciata Russa a Washington D.C. ma in realtà capo della
sezione americana del servizio segreto militare russo noto come G.R.U. stava
riguardando dei documenti nel suo ufficio quando sentì un’improvvisa corrente.
La finestra alle sue spalle si era aperta? Ma come era possibile?
Si girò di scatto per trovarsi davanti una bella ragazza bionda
inguainata in un attillato costume nero.
<Chornaya Vdova!>
esclamò nella sua lingua natia poi superata lo sbigottimento iniziale proseguì
a parlare <Che piacevole sorpresa ma non c’era bisogno di questa entrata ad
effetto potevi farti annunciare come tutti.>
<Preferisco che non si sappia che sono stata qui.> replicò
Yelena Belova <Io e lei dobbiamo parlare.>
<Certo.> rispose lui ostentando calma <C’è da organizzare il
tuo ritorno in Russia.>
<Io ho un’alternativa da proporre. Lei aveva ragione: io faccio
davvero parte di una squadra segreta dello S.H.I.E.L.D. composta da agenti
scelti che hanno abilità particolari. Mi lasci restare lì e io vi fornir tutte
le informazioni che possono essere utili. Li spierò per la Rodina.>[6]
Serov rifletté. Era evidente che la Belova non aveva nessuna
intenzione di lasciare gli Stati Uniti e questo era un tentativo disperato di
restare. D’altra parte, ora che la Federazione aveva interrotto i rapporti con
lo S.H.I.E.L.D. ed espulso i suoi agenti dal suo territorio, questa era una
ghiotta occasione per avere informazioni di prima mano sulle operazioni di
quell’organizzazione. Della lealtà della Vedova Nera non aveva motivo di
dubitar, l’aveva dimostrata in più di un’occasione, tuttavia…
<Posso provare a convincere i miei capi ma… se avessi qualche
notizia succosa da anticipargli…>
Yelena sorrise.
<Lo immaginavo… che ne direbbe se le parlassi dello Zimoy Soldat?>[7]
A quel nome Serov fece quasi un salto dalla
sedia… esattamente come Yelena aveva previsto.
Base
dei Vendicatori Segreti. 24 ore prima.
<Davvero Nick, sono contenta di
rivederti. Sebbene le circostanze non siano le migliori.>
<Non mi si incontra mai in circostanze
piacevoli, Donna Maria. Ma anch’io sono contento di rivederti. Ho sempre
trovato un spreco che una donna delle tue capacità non sia rimasta nello
S.H.I.E.L.D.... solo Dio sa quanto abbiamo bisogno di agenti in gamba come te.
Mi fa piacere che tu sia tornata nel giro.>
<È stata un idea di Steve. Pare fosse sotto organico.>
<Già... ha espulso la Carter. Altro
spreco...>
A sentire parlare in quel modo di Sharon Donna
Maria ebbe un sussulto. S’erano solo incrociate in un paio di occasioni, ma la
bionda era per lei una presenza costante, sia sul campo, come agente, sia nel
privato, come donna di Steve. Qualcuno con cui perennemente confrontarsi, che
la faceva sentire costantemente sotto esame.
<Ne sento parlare continuamente>
chiese al suo ex insegnante <Dimmi Nick, cosa aveva di tanto speciale,
questa donna?>
<Una donna fuori dal comune. Una forza
interiore che non smetteva mai di stupirmi, anche dopo anni. Forse la migliore
agente che abbia mai visto.> fu una frase un po’ infelice da dire alla sua
sostituta. Fury se ne rese conto.
<So cosa stai pensando, Puentes. Non devi
sentirti in competizione con lei. Ha molta più esperienza di te, sul campo. È
normale che sia avvantaggiata, rispetto a te. Ma ti ho addestrata io, e poche,
pochissime reclute eguagliano la tua tempra e la tua forza di volontà. E ne ho
viste tante nella mia vita, credimi. Abbi fiducia in te stessa e nelle tue
qualità Io credo in te. E pure Rogers.>
<Grazie Nick.> rispose Donna
Maria.
Steve arrivò con un po’ di anticipo, come
era sua abitudine fare; in quanto leader, pensava, era suo dovere dare
l’esempio, e fu sorpreso nel vedere che la ragazza lo aveva anticipato.
<Maria... non mi aspettavo di trovarti
già qui.>
<Che devo dirti, Steve? Avevo voglia di
chiacchierare con Nick dei vecchi tempi dell’accademia.>
<Allora, Nick che succede? Puoi
anticiparmi qualcosa?>
<In breve, si tratta di un furto ai
laboratori dello S.H.I.E.L.D. Ho scoperto da una mia fonte che un gruppetto di
mercenari ha in mente di impossessarsi di alcuni campioni di DNA metaumano in
nostro possesso.>
<Perché lo S.H.I.E.L.D. possiede
materiale genetico di superesseri?> domandò Amadeus Cho, entrando nella
stanza.
<Li studiamo per trovare delle
contromosse ai loro poteri. Non ci vuole certo un cervellone come il tuo,
ragazzo, per capire che se quel carico arrivasse nelle mani sbagliate sarebbe
molto, molto pericoloso.>
<Già... per esempio quel genetista folle
di Arnim Zola, rabbrividisco all’idea di quello che potrebbe fare un pazzoide
come lui con quel materiale…> osservò Donna Maria.
<Non succederà. Aspettiamo che arrivino
gli altri ed elaboreremo un piano d’azione. Sappiamo dove e quando colpiranno:
li fermeremo.> sentenziò Steve risoluto.
Un’installazione
segreta dello S.H.I.E.L.D. Adesso.
<Se è solo per questo, avete già finito
prima ancora di cominciare.> esclamò Steve.
<Che diavolo…> Moonstone rimase
sorpresa nel vedere lui e la sua squadra sul posto <LIBERATEVI DI LORO! ADESSO!>
ordinò un istante dopo.
La squadra di Moonstone passò all’attacco,
tranne Snapdragon, che rimase pietrificata nel momento in cui posò gli occhi
sul Rogers.
<S-Steve?> disse con un filo di voce,
che nessuno però percepì, nella confusione provocata dall’inevitabile scontro.
Warhawk fu il primo ad agire, aprendo il
fuoco su di loro: Steve azionò il suo scudo al plasma, deviando i proiettili,
mentre i suoi amici si disperdevano. La Vedova Nera scagliò contro l’ex marine
un minuscolo disco magnetico che si attaccò al fucile e dopo pochi istanti
detonò, mettendo fuori gioco l’arma... ma non il suo possessore, purtroppo, che
pur scosso si rimise subito in posizione da combattimento.
Tagliagole cercò di attentare alla vita di
Nomad, cercando di colpirlo al collo, ma Jack aveva ormai maturato esperienza
con gli avversari armati di lame, e riusciva a tenerlo a distanza. Il suo
avversario era in gamba ma lui lo era di più, ne era sicuro. Era abituato a
combattere sin da quando aveva 12 anni ed era stato addestrato dai due migliori
combattenti a mani nude che avesse mai conosciuto e le lame del suo avversario
non lo impensierivano più di tanto.
<Tutto qui quel che sai fare?> disse
rivolto a Tagliagole <Speravo in qualcosa di meglio.>
<E lo avrai.> ribatté Daniel Leighton.
Il Soldato d’Inverno invece preferì
confrontarsi con Warhawk; era l’unico, escluso Steve, a poter competere con la
sua esperienza militare, senza contare che col suo braccio cibernetico riusciva
ad infierire colpi di cui l’altro riusciva ad avvertire il dolore persino
attraverso la sua pelle antiproiettile. Warhawk era un soldato addestrato dei
corpi speciali. Anche se non avesse letto la sua scheda, Buck lo avrebbe capito
dalle sue mosse. Erano ad uno stallo: ognuno dei due riusciva ad anticipare le
mosse dell’altro ed a pararne gli attacchi.
<Sei in gamba ragazzo, lo riconosco>
disse il mercenario <ma io sono migliore; non permetterò a nessuno ad
intralciare la mia missione!>
<”Ragazzo”. Ma se sono più vecchio di
almeno 60 anni> pensò Bucky mentre schivava l’ennesimo colpo.
La
determinazione e l’ossessione di Warhawk lo fece riflettere: “Ero anch’io in quel modo, prima che Steve mi
salvasse?” si chiedeva, ma conosceva benissimo la risposta. Vedeva se
stesso in quel tragico marine deviato. Al mondo vi sono persone senza scrupoli
in grado di distorcere il senso del dovere e dell’onore di un bravo soldato, e
la cosa lo faceva star male.
Nel frattempo, la Vedova Nera si trovò di fronte
la ragazza in verde, una completa sconosciuta per lei.
Yelena Belova studiava la sua avversaria
mentre si muovevano a semicerchio come in una danza
<Sei solo una ragazzina le disse. Com’è
che sei in mezzo a questa faccenda?> le chiese.
<Ho già 18 anni… e so combattere meglio di
te.> ribatté, piccata, la sua avversaria.
<Permettimi di dubitarne. In ogni caso come ti chiami?>
<Se vuoi un nome, puoi chiamarmi
Scorpia.>
<C’era già una Scorpia ed è stata uccisa.[8]
La cosa non ti turba?>
<Tu parli troppo.> replicò la ragazza
saltandole addosso.
Il momento di studio reciproco era finito:
ora iniziava il vero scontro.
La sua avversaria era brava, ma non quanto
lei, di questo Yelena era sicura. Le sparò un Morso di Vedova ma lei lo evitò e
dal suo braccio sinistro partì una specie di nube. Yelena si gettò a terra
evitandola ma una piccola parte la raggiunse e Yelena si trovò a tossire.
<Sorpresa Vedova Nera? Sì, so chi sei… e
tu dovresti sapere che gli scorpioni sono più forti dei ragni.>
La Vedova le afferrò la caviglia e la fece
cadere.
<Gli scorpioni non vincono sempre contro i
ragni.> ribatté.
Si rimise in piedi ma gli occhi le bruciavano
per colpa di quella dannata tossina.
Mamba Nero affrontava il Supersoldato: emanò
la sua sostanza psichica contro Steve, provocando in lui illusioni; il
supersoldato vedeva davanti a lui la sua amata ex ragazza, Connie Ferrari,
morta da poco ma, benché gli provocasse una fitta al cuore, non ebbe l’effetto
che la donna sperava:
<Spiacente Mamba, ma conosco il tuo
trucchetto, e non funziona.> disse sfuggendo a quella strana sostanza simile
a fumo denso.
Nel vedere Steve colpire la sua amica,
Snapdragon sembrò ridestarsi e corse verso di loro.
<Aspettate...Tanya, fermati! Lui.... >
disse, ma prima che potesse fare o dire qualcosa, Donna Maria le fu addosso.
<Una pessimo costume, stronza. Per non
parlare di quei capelli... ma chi ti fa la tinta?>
<Bada al tuo di abbigliamento,
piuttosto.> ribatté la supercriminale sferrandole una ginocchiata allo
sterno. Maria rimase senza fiato e l’altra fece per colpirla di nuovo. A Donna
Maria però tornarono in mente le parole di Fury di qualche ora prima, strinse i
denti e si rialzò ancora più determinata a battersi.
<Coraggio sgualdrina… proviamo di
nuovo.>
Moonstone si era tenuta volutamente fuori
dallo scontro preferendo fermarsi a valutare gli avversari. Riconobbe
immediatamente il Soldato d’Inverno: dopo la sua cattura[9]
si era infiltrata nello S.H.I.E.L.D. come componente del team psichiatrico che
doveva aiutarlo a recuperare il suo equilibrio mentale, dunque sapeva che si
trattava di Bucky Barnes, il famoso aiutante di Capitan America durante la
guerra.
Era evidente che Fury voleva disporre dei
suoi numerosi talenti e lo aveva assegnato ad una squadra speciale. Mossa
furba, da parte sua. Ma non ci si poteva aspettare diversamente da una vecchia
volpe come Nick.
Anche della ragazza bionda era facile
tracciare un profilo: era russa e rispondeva al nome di codice di “Vedova
Nera”: si trattava senz’altro dell’ennesimo prodotto della stanza rossa...
evidentemente, anche dopo il crollo dell’Unione Sovietica hanno continuato a
sfornare agenti di quel tipo.
<Chissà se la sua predecessora ne è al
corrente?> si domandò.
La mora dall’abito rosso non le diceva niente,
ma non aveva l’aria di essere americana. Europea, forse? Fury aveva messo su un
bel mix internazionale, non c’è era che dire.
I due uomini erano un enigma invece. Il
moretto con la maschera integrale sul volto non le diceva assolutamente nulla.
Certo che era veloce, ben addestrato.
Il biondo invece era un tipo interessante,
che le sembrava inquietantemente familiare. Decisamente attraente e con un
fisico notevole ma senza gli eccessi dei body builders… e nemmeno le loro
debolezze ci avrebbe scommesso. Peccato non avere tempo per scoprirlo… ma del
resto le dava l’impressione di essere il tipo integerrimo e incorruttibile.
Peccato.
Ma il tempo delle analisi era terminato: i
due gruppi si equivalevano, nessuna delle due squadre sembrava prevalere. Lo
scontro poteva durare ancora a lungo, e loro non avevano tempo da perdere.
Moonstone si sollevò in volo e atterrò in
mezzo alle varie coppie che si stavano affrontando in combattimento.
<Copritevi gli occhi.> ordinò, con un
tono che non ammetteva repliche.
<Attenzione! Cercherà di ...> gridò
Steve, ma prima che potesse terminare la frase Moonstone cominciò a brillare
come una stella; esplose davanti ai loro occhi come una bomba al magnesio,
provocando un accecante flash che li avrebbe privati della vista per qualche
minuto.
<Adesso, finiteli. Prima che si
riprendano!> sentenziò ancora, e i suoi eseguirono il comando senza
esitazione.
Ognuno di loro colpì l’avversario duramente,
lasciandoli senza fiato e privandoli dei sensi. La squadra di Moonstone s’era
aggiudicato l’incontro.
<A quanto pare, mi è toccato il lavoro
duro.> commentò la donna, prendendosi il merito.
<Ehi bella…> replicò Tagliagole <…
chi ti credi di essere?>
<Quella che comanda in questa squadra… e
senza la quale saresti finito per farti battere per l’ennesima volta.>
<Ehi ma come ti permetti? Io avrei...>
<Non litighiamo tra di noi> intervenne
Snapdragon <Piuttosto ora cosa facciamo di loro?> indicò i cinque
avversari svenuti.
<Cosa?> replico Warhawk <Molto
semplice: li uccidiamo e non ci pensiamo più. Chi è d’accordo con me?>
<Io…> rispose Tagliagole, impugnando
una delle sue lame e puntandola alla gola di Steve Rogers.
CONTINUA
NOTE DEGLI AUTORI
Poca roba stavolta:
1)
Il
titolo l’abbiamo preso da una celebre canzone del musicista britannico Mike
Oldfield con la voce di Maggie Reilly.
2)
Il
nome dell’insegnate di Hiram, il professor Keating, è un omaggio che noi di
MarvelIT vogliamo fare a Robin Williams, il celebre attore protagonista di film
come l’Attimo Fuggente o Will Hunting – genio ribelle, scomparso
nel mese di agosto.
3)
Alcuni
di voi avranno, forse, capito chi è il personaggio che abbiamo chiamato
Scorpia. Di lei saprete di più nel prossimo episodio.
4)
Vale
la pena di spendere qualche parola per Cheer Chadwick, un personaggio creato
nientemeno che da Jack Kirby nel 1976 su Captain America Vol. 1° #195 come
membro di un’associazione segreta chiamata Élite che intendeva stabilire negli
Stai Uniti un governo di tipo aristocratico con echi della Gran Bretagna
settecentesca dell’Impero Romano con un pizzico di 1984 e Rollerball.
Come fa Snapdragon a conoscere Steve Rogers?
Quali sono i piani di Cheer Chadwick e quelli di Monica Rappaccini? Chi è la
“talpa” di Nick Fury? Tutte le risposte e altro ancora nel prossimo episodio.
Carlo & Carmelo